L’ABC dei disturbi d’ansia

//L’ABC dei disturbi d’ansia

Nell’articolo precedente si è detto che inquadrare il “problema” nell’ansia equivale a credere che essa è il “pericolo” da evitare. Si è anche messo in risalto che la conseguenza di tale convinzione  è quella di attivare l’ansia anzitempo, poiché l’ansia è il dispositivo naturale che l’organismo  attiva dinnanzi alla previsione di  un “pericolo”.  Questa constatazione  mette in rilievo  come una convinzione “errata” (ansia = pericolo), è in grado di innescare e mantenere un circuito ansiogeno. La teoria cognitivo comportamentale puntualizza, in maniera forte, quanto l’azione di tantissime “false convinzioni” costituisca la principale causa  responsabile  dello sviluppo dei disturbi d’ansia. Nella consuetudine clinica, chi soffre di un disturbo d’ansia è molto carico di “convinzioni disfunzionali”, ma è assolutamente inconsapevole di averle e di utilizzarle durante i suoi ragionamenti. La non consapevolezza dell’insistenza  di queste “convinzioni disfunzionali”, impedisce alla persona di poterle mettere in discussione e quindi di modificarle. La persona ansiosa è così  focalizzata sull’ansia e sul significato di “pericolo” che gli ha attribuito, che perde di vista il ruolo funzionale dell’ansia  nell’organizzazione dell’ esistenza umana; ovvero quello di essere un dispositivo di segnalazione di pericolo e non il “pericolo”. Oltre alle “convinzioni disfunzionali” altri fattori di innesco e mantenimento dei disturbi d’ansia sono i cosiddetti “comportamenti disfunzionali”. Uso il termine disfunzionale per rilevare che anche questo gruppo di comportamenti, anziché aiutare la persona a ridurre la propria vulnerabilità emotiva, l’aumenta. Pure in questo caso l’individuo è inconsapevole dell’effetto nocivo che questi comportamenti hanno nel mantenimento del disturbo d’ansia. Un esempio potrebbe essere quello di una persona ansiosa che, avendo associato l’ansia al “pericolo”, metterà costantemente in atto dei comportamenti per evitare di entrare nella stessa  ansia. Se in un primo momento i comportamenti di evitamento premieranno la persona non facendola entrare in ansia, nel lungo periodo l’effetto di tali comportamenti sarà esattamente opposto. Più la persona metterà in atto degli evitamenti per non entrare in ansia più la sua sensibilità emotiva si incrementerà. Pensiamo ad una persona che, avendo paura di sostenere un esame, inizi a procrastinare la sua decisione, saltando continuamente tutte le sessioni. Come conseguenza di questi continui evitamenti, la sua paura di sostenere un esame progressivamente aumenterà di intensità anziché diminuire e l’idea di sostenere l’esame lo renderà sempre più ansioso. Lo stesso fenomeno è simile a quello che si verifica in chiunque eviti, in maniera sistematica,  di esporsi a situazioni ansiogene.  Ovviamente parlare di quali e quanti possono essere le convinzioni e i “comportamenti disfunzionali” responsabili dell’incremento della propria vulnerabilità emotiva  è impossibile, sia perché sono veramente tanti e sia perché sono diversi da individuo a individuo, inoltre essi dipendono anche dal tipo di disturbo che è presente. Se la vulnerabilità all’ansia viene generata da convinzioni e comportamenti disfunzionali, si capisce ancora di più che equipararla ad una malattia organica è assolutamente errato. Questa analisi dimostra anche che il processo di ristrutturazione e modifica delle convinzioni e dei comportamenti disfunzionali che causano  la vulnerabilità emotiva,  non potrà mai essere raggiunto  attraverso i farmaci, ma esclusivamente attraverso l’utilizzo di tecniche e strategie psicologiche. La  psicoterapia cognitivo comportamentale è quella che, a mio parere, riesce meglio di altre a raggiungere tali obiettivi e in maniera più veloce.

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